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Oggetto recensito:
“Cesare deve morire” dei fratelli Taviani
di: Davide Steccanella




“E’ stata una tale emozione per noi vedere i detenuti di Rebibbia recitare Shakespeare nel loro dialetto che abbiamo deciso che bisognava a tutti costi fare qualcosa ma cosa ? Un film no, un docu-film ci sembrava termine orrendo, e quindi abbiamo deciso di dare loro un opera che era mai stata allestita (il Giulio Cesare) e vedere cosa succedeva, e poi da lì è nato tutto” hanno raccontato ieri al cinema Anteo di Milano Paolo e Vittorio Taviani questi due ottuagenari monumenti del nostrano cinema di autore che, ci ha ricordato il loro accompagnatore e produttore Nanni Moretti, “girano non una sequenza per uno, ma una scena per uno…”. E quella loro emozione gli autori di precedenti capolavori quali Padre Padrone e La notte di san Lorenzo ce l’hanno saputa trasmettere eccome, e più che meritato risulta essere dunque il recente ed ambito orso berlinese a questo straordinario “Cesare deve morire”. Cos’è allora ? E’ una sorta di memorabile backstage (tecnicamente raffinatissimo, va detto, anche nella scelta delle musiche, e di quella eccelsa fotografia in bianco e nero) che in poco più di un ora ci fa partecipare alla più sensazionale delle riletture di un testo “classico” capace di acquistare nuova potenza espressiva nello squallore dei meandri del raggio di un carcere di massima sicurezza. Il tutto grazie quasi esclusivamente alla verità di interpreti talmente eccezionali (Bruto, Cassio e Cesare su tutti) da lenire in parte il nostro disagio di fronte a quel loro finale ri-accompagnamento a mezzo guardie in quelle orrende celle per alcuni marchiate da un maledetto “fine pena mai”. E’ un misto di improvvisazione apparente e di arte che va dritta al cuore oltre che al cervello, ed il risultato finale è un qualcosa di talmente nuovo e di mai visto prima che la proiezione trasforma la visione in una esperienza assolutamente indimenticabile come credo sia stata quella che colse questi due arzilli ottantenni al punto da indurli a trasferire la stessa quale forma del migliore omaggio finale a quell’arte cinematografica che per una vita hanno saputo servire con perizia ed umiltà senza alcun cedimento a richiami commerciali. Che a consentire la divulgazione di tutto ciò sia stato Nanni Moretti non ci sorprende più che tanto considerato l’amore incondizionato per il cinema del nostro più geniale autore, il quale, come i pochi veri grandi, ha saputo riconoscere il dovuto merito ad un opera che non poteva essere più diversa dalle…sue. Esattamente come peraltro, ci hanno raccontato ieri, seppero fare anni fa a ranghi invertiti questi due straordinari fratelli toscani di fronte alle insistenze a mostrar loro i propri iniziali lavori da parte di quel ragazzino impertinente, che oggi e a distanza di 40 anni ha restituito loro il “favore”.





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