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Oggetto recensito:
“AZURE”( Duke Ellington )
di: Giorgio Camaioni




“AZURE”( Duke Ellington )

[ Giorgio Gaslini “A little jazz story” - 4. 02. ’11 h 21.45 - CottonJazzClub - Palafolli - Ascoli Piceno ]

Racconta che da piccolo aveva l’Africa in casa [padre africanista]. I mobili, gli oggetti, il suo “clima”, e quindi la sua musica. I suoi silenzi, i suoi echi armonici circolari, i rimbombi dei tamburi. L’Africa libera, si capisce. L’Africa “matrice della sua vita”. Così, rubata la maestra di musica al fratello (che ne fu contento, non ci era portato) e autorizzato dal padre, a 6 anni diventa pianista.

Comincia, Gaslini, come meno te l’aspetti: raccontando. La storia di un uomo, non quella del jazz (“la storia del jazz è noiosa”), e quando si mette al piano ci spiazza ancora, perché non sono accordi, scale, arpeggi, non c’è un “motivo”, e neanche funambolismi da concerto. Non si agita, non sbraccia, non fa saltellare vorticosamente le dita, niente virtuosismi; mette solo in moto la mano sinistra facendola lavorare, che prenda autonomia velocità e ritmo costanti, finchè, caricata, quella va da sola. Poi parte con la destra, ti sembra per un’altra strada, ma non è così; i fraseggi non sono indipendenti, ma rincorrono, sorpassano, attendono, incrociano, si fondono. E molto pedale: mescolanze, non brodaglia alla Keith Jarrett. Non sapevamo questo fosse jazz, infatti è Africa. Hai davanti le migrazioni degli gnu sull’altopiano, la savana percorsa dalle gazzelle, terre arse battute da mandrie, esplosioni d’acqua, cristalli. Pause, quiete, silenzi. Invisibili tamburi alfabetizzati che ”parlano” anche a 300 km. L’Africa antifonica e fraseologica, quella dell’inavvicinabile Miles Davis [“Jean Pierre”] e del meditativo John Coltrane [ah, quel blues in minore]. (…)

Ogni due-tre pezzi si alza e racconta: suonare in pubblico -confessa- è come un esame di laurea, rischioso, un saltimbanco con l’ombrello sul filo. Però i musicisti, come i gatti (cats, li chiamava Ellington, “vi amo alla follia!”), se son bravi e soprattutto umili non cadono. Bisogna imparare. Lui, Gaslini, ha avuto la ventura e la volontà di imparare dai più grandi di sempre, avvicinandoli con insistenza garbo ed entusiasmo, facendoseli grandi amici. Quando si appostava fuori dei loro camerini, quando assisteva alle estenuanti prove del pomeriggio, e quella volta che in spider accompagnò all’hotel Duomo un Coltrane incantato dalle vetrate illuminate del duomo di Milano… Li teneva sempre d’occhio, osservava come lavoravano. Artisti d’immenso talento che però non se la tiravano, di sorprendente umanità, non mezze calzette. Mica italiani…

“Improvvisare è un modo di raccontare una storia”, ecco perché il jazz è storia. Quelle di Gaslini sono storie nate anche in quell’ora dalla mezzanotte all’una, in cui suonava nella “vecchia” New Orleans riempiendo buchi di serate. Come quando s’imbattè in una cantante dalla splendida voce, che pianse, maltrattata dal pubblico un po’ da “postribolo”. Come il dietro-front di Duke Ellington con inchino alla guardarobiera del teatro per rimediare al non averla salutata andando via! Storie di bravura e di umiltà. Che per me, nella serata di Ascoli, culminano in “Azure”: un’esecuzione affettuosa, quasi in sordina, struggente, unica, improvvisata accarezzando la tastiera come soltanto Gaslini può.

Forse gli ci voleva solo la fida giacca azzurra di tanti suoi altri concerti, invece di questa color crema. Ma sempre eleganza d’antan, coi calzini verdi rigati di rosso…

9. 02. ’11 Giorgio Camaioni www.faxivostri.wordpress.com





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