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Oggetto recensito:
«Calpestare l’oblio», Antologia on-line di poesie contro il berlusconismo
di: Matteo Zola




Antologia significa -e ci soccorre l'etimologia- "fiori migliori". Davvero non sappiamo se le poesie raccolte in questa "antologia della ribellione" siano degne del florilegio, quel che è certo è che i poeti che vi partecipano sono veri e propri “campioni” della democrazia. E di nuovo ci soccorre l'etimologia: da "campo", nel senso di "arena", agone in questo caso politico o, meglio, culturale. Già, perché questa “antologia”, che gira sull’on line da qualche giorno, mette insieme trenta poeti più o meno noti, della vecchia e della nuova generazione, che scrivono versi per protesta: contro la minaccia incostituzionale di Berlusconi, per difendere il valore della resistenza e della memoria. Incredibile ma vero, nell'abituale indifferenza italica, l’anacronismo commovente del “manifesto dei poeti” raccoglie consensi e adesioni. L'idea è venuta a Davide Nota, poeta di ventotto anni (benché qualcuno dicesse impossibile esser poeti prima dei sessanta) che ha cominciato a telefonare ai più anziani: Roberto Roversi, Gianni D’Elia, Maurizio Cucchi e Franco Buffoni. Protagonisti di questa antologia «Calpestare l’oblio» sono i poeti della nuova generazione, nati negli anni ’70 ed ’80, che compongono per due terzi la raccolta: Flavio Santi, Massimo Gezzi, Marco Giovenale, Enrico Piergallini, Luigi Socci, Martino Baldi, Matteo Zattoni. Nomi forse ignoti al grande pubblico ma familiari a chiunque s'interessi di critica letteraria contemporanea. Certamente tra questi non figurano i giornalisti, che dipingono autori d'indiscusso valore come una “corazzata Potëmkin” (by Il Giornale) di vecchi ed “oscuri” (by Libero) poeti nostalgici del ’68 e carichi di “odio” nei confronti di Silvio Berlusconi (by Il Foglio). Come a dire: mala tempora currunt, e il pensiero corre all'officina di Pasolini e Roversi.

Non sarebbe inopportuno in questa sede valutare anche il contenuto della raccolta, la qualità intrinseca dei testi, per non limitarsi alla sola -benché sorprendente- iniziativa politica. Non si può tacere l’uso talvolta strumentale della comparazione con il ventennio fascista, che semina facili slogan e rimandi a una guerra civile che si vorrebbe riattualizzare: «[…] Vizio di una cittadinanza, qui. Vedi e muori, muori sempre nella stessa cosa». Molti dei componimenti, invece dell’attualità, si concentra sul passato partigiano (Marzabotto, Sant’Anna) con qualche retorica di troppo: «e so, / che la fame uccide / e la libertà deve insegnare / come uccidere la fame». Ottime soluzioni, scevre d’ogni retorica, s’individuano nei versi di Maurizio Cucchi e Alba Donati: «Il lupo avrebbe addirittura mangiato / la nonna e la bambina intere / per salvaguardale da altri (più potenti ) nemici./ Il lupo era diventato, a forza di raccontarlo, di casa./ Il male, là fuori, cambiava nome, / ma conservava stretta la sua location».

Ecco allora che la cultura diventa gesto politico, con esso fondendosi. Il partito-cultura si muove, benché minoritario, a risvegliare coscienze intorpidite da quindici anni di cartoni animati e talk show, perché il dominio della maggioranza -diceva quel tale- è come un'anestesia.

Matteo Zola





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