Il cantante Ricky Martin ci ha messo anni, ma alla fine ha fatto coming out. Quanto è difficile dichiarare la propria omosessualità? Dipende molto anche dall'ambiente. Perché se nel mondo della moda è quasi obbligatorio, in quello macho del rugby è un po' più problematico
di Alessandra Minervini

Ricky Martin è un “fortunato omosessuale”. Lo ha dichiarato sul suo sito, pochi giorni fa, smentendo se stesso (in passato aveva negato: “sono solo insinuazioni”) e confermando rumors decennali. L'unica ambiguità che riscontriamo in questa dichiarazione è l'aggettivo “fortunato”. La popstar intendeva “felice” oppure “fiero” oppure intendeva che prima si sentiva meno fortunato e adesso è il momento più fortunato della sua vita per fare coming out? La dichiarazione assomiglia a un invitante teaser a pochi mesi dall'uscita dell'autobiografia in cui, guarda caso, la star latina confesserà tutto quello che non ha mai osato dire negli ultimi venti anni e che noi, probabilmente, sappiamo già. Malignità la nostra? Chiediamolo a Rocco Siffredi che ieri si è messo in fila e si è unito al gruppo “fare coming out spalanca gli orizzonti e gli affari”. Secondo il Tgcom il noto superuomo avrebbe detto: "Nella mia vita ho amato migliaia di donne, ma ognuna di loro mi ha avvicinato alla fine a quello che sono davvero: un gay. Ho sofferto molto, ma ora lo posso e lo devo ammettere: mi piacciono gli uomini. E presto lavorerò solo con loro". Ma non era una trovata di marketing: solo un pesce d'aprile.
L'orientamento sessuale, in certe professioni, fa parte del curriculum. Scrivi un libro o giri un film sugli omosessuali? Sei gay. Ma se scrivi una canzone dedicata a Raffaella Carrà: no, non sei gay. Forse un pochino. Ma poco. Dai, chiudiamo un occhio. Per non parlare di quel luogo comune della moda dove l'omosessualità è sdoganata al punto da essere, perdonate il termine, “normale”.
Ci sono ambienti professionali in cui il coming out non serve. Perchè è ovvio. Ce ne sono altri, invece, in cui quello che è naturale è l'outing. La differenza terminologica non è da poco. L'outing è lo sputtanamento, per dirlo in italiano. Rivelare l'omosessualità di una persona per metterla in difficoltà o ricattarla o allontanarla dal posto di lavoro. Coming out è invece il termine che indica la spontanea dichiarazione pubblica della propria omosessualità. In italiano questo termine non esiste. Assomiglia all'arte di arrangiarsi: qui lo dico e qui lo nego.
Proviamo a mettere da parte le difficoltà che ancora oggi gli omosessuali devono affrontare quando si dichiarano gay e immaginiamo cosa sarebbe successo se Ricky Martin non fosse stato una popstar, ma una persona “normale” (scusate di nuovo il termine).
Immaginiamo che Ricky Martin sia un campione sportivo: un campione di rugby della Nazionale del Galles. Il rugby è uno sport dove il corpo e la forza fisica sono estremamente coinvolti: ci si tocca, ci si agguanta, si diventa un corpo unico. Che vita avrebbe Ricky in uno spogliatoio di rugby? Sarebbe libero di condividere uno spazio piccolo circondato da altri corpi maschili spogliati? Che vita avrebbe un campione di uno sport così “macho”? Probabilmente si sposerebbe per sopire ogni sospetto, prima di tutto a se stesso. Uno dei passaggi che precede il coming out è il coming in: proviamo con una donna, magari mi sbaglio. Ma l'omosessualità non è un errore. Lo sa bene Gareth Thomas, ex capitano della nazionale di rugby del Galles che a dicembre del 2009 ha fatto coming out: “Non voglio essere identificato come un giocatore omosessuale. Prima di tutto sono un giocatore di rugby. Sono un uomo. Non avrei potuto fare coming out senza prima essermi affermato come giocatore e senza essermi guadagnato il rispetto sul campo”.
Ora spostiamoci nel mondo incravattato della legge. Mettiamo che Ricky sia un avvocato di una provincia italiana che lavora in un affermato studio legale. Cosa fa? Lo dice prima del colloquio? O dopo aver firmato il contratto? O fa finta di niente. Si nasconde dietro un rumoroso silenzio di Pulcinella che fa più chiasso degli sguardi pesanti dei colleghi, delle risatine soffocate dal perbenismo collegiale che accendono indiscrete fantasie quando si trovano al cospetto di un collega con una prestanza fisica da enduro, occhi che fanno le fusa, unghie perfettamente limate come le sopracciglia ad arco di trionfo e un piccolo sculettante copertone di prima classe come osso sacro che sventola nel bagno quando passano alla radio La vida loca.
E adesso spostiamoci in una via della capitale italiana dove due uomini si stanno baciando davanti al tramonto che sprofonda nel Colosseo. Immaginiamo che in quel momento ci sia altra gente che non li guarda perchè non è nulla di che, sono solo due uomini che si baciano. E' normale. Fermiamoci qui. Forse siamo andati troppo oltre con l'immaginazione.
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